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venerdì 9 dicembre 2011

SK8 OR DIE!

Capita che un elemento del passato torni a fare visita nel presente, aprendo uno squarcio nella realtà che sto vivendo; non così spesso, non così sovente, ma quando avviene vengo travolto da un treno di ricordi che mi spiazza e mi lascia senza fiato e mi fa venire voglia di scriverne.
Ho ritrovato per caso la mia prima e unica tavola da skate. Cazzo, già sento le risate e chi urla: Robbo, ma facci il piacere, tu, con quella testa di cazzo, sei andato sullo skate?
Eppure è così. Sarà stato il 1991. Al Balùn, per poche lire, avevo trovato una tavola che faceva al caso mio. Per i primi tre anni del Liceo, e in parte fino al quarto anno, no, per tutto il quarto anno del Liceo insieme ad altri compagni di quel tempo passavamo pomeriggi o intere giornate a fare acrobazie del cazzo con quelle tavole con le ruote. Ripenso al me, al Robbo di quel tempo, un ragazzetto magro con i capelli rasati, senza occhiali, non tanto diverso da chi sta pestando le lettere della tastiera del computer che ha davanti.

Non tanto diverso ma di sicuro molto più agile e spericolato. Ta - tlak, Ta - tlak, Ta - tlak!
Che figo...si imparava dai ragazzi più grandi, nei parcheggi sotterranei e in posti isolati dove alcuni si attrezzavano e improvvisavano, davvero improvvisavano rampe dove potevamo cazzeggiare alle grande...Ta - tlak, Ta - tlak, Ta - tlak! E via...qualcuno veniva con le Bmx o con le Mtb e via, le acrobazie diventavano sempre più audaci...mica ci riparavamo con ginocchiere o altro, manco per il cazzo. Jeans, magliette con le tre strisce dell'Adidas, sneakers di qualsiasi tipo ai piedi; mancavano i grattacieli di Manhattan alle nostre spalle e il verde di Central Park e si poteva davvero essere a Gotham City, La Grande Mela. Braccia nude, cemento e cadute che ti spezzavano le ossa, disegnavano lividi dappertutto e divoravano la fibra dei jeans.
Ta - tlak, Ta - tlak, Ta - tlak!

Sublime quando qualcuno portava quei mega stereo portatili, dei radioloni che sputavano note a un volume da lite condominiale, le ragazze con le macchine fotografiche, e via, si ascoltava musica e si ballava...Anthrax, Metallica, Alice In Chains, Pearl Jam, Ugly Kid Joe e poi Rage Against The Machine, Therapy? e poi Rap e Funk...ci piaceva scimmiottare i rapper, manipiedibracciagambe che scattavano come attraversati dalla corrente elettrica...Sugar Hill Gang, GrandMasterFlash, The Pharcyde, Urban Dance Squad, Public Enemy, Run Dmc e il primo funk dei Red Hot Chili Peppers...alcuni di noi con i pantaloni larghi in perfetto Freaky Style...e lo skate continuava a produrre quel rumore eccitante e magico: Ta - tlak, Ta - tlak, Ta - tlak!

Le acrobazie. I tricks. La maggior parte di noi eseguiva degli Ollie e basta, altri li utilizzavano come base per trick molto più elaborati. Non sono mai arrivato a eseguire un flip, a staccare e far ruotare la tavola. Ci ho provato. Mi sono sfracellato parecchie volte. Chissenefrega ho sempre pensato. A me piaceva divertirmi, cazzeggiare, ghignare. Spararmi le pose davanti alle amiche, giocare a fare il figo. C'erano i soliti pesantoni del cazzo che dovevano rovinarti il pomeriggio con le loro cazzo di competizioni, il loro linguaggio pseudo accademico e impegnato...noi sì che siamo bravi, noi sì che siamo dei fighi...Ta - tlak, Ta - tlak, Ta - tlak! Andatevene affanculo e succhiatemi il cazzo, stronzi!

Si cercava di studiare, ma si ascoltava sempre tanta musica, si cazzeggiava mica da ridere, le giornate parevano durare mesi, e strimpellavo pure il basso, only for fun, insieme a un compagno di classe, e quelle note modulate e profonde mi cullavano lo stomaco. La sera provavo a scrivere, la bussola interiore cercava un Nord e non lo trovava, in quel quadriennio costellato di riti di passaggio.

Poi ci fu la gita a Strasburgo e Baden Baden, di cui ho già parlato qui. Cinque giorni che mi porterò fin dentro la tomba, cinque cazzo di giornate in cui tutto non è mai più stato lo stesso. Il sesso, la prima volta, con una ragazza, una realtà differente nella scuola che ci ospitava, ragazzi che facevano skateboarding meglio di chiunque altro, ragazze che suonavano la chitarra meglio di tutti, la solita fontana dei desideri, Salma che mi invita a esprimere un desiderio buttando un plettro nella fontana, io che la prendo per il culo ma poi un cazzo di desiderio lo esprimo...poi ci fu la caduta, il quarto anno. Capii che lo skate sarebbe finito così. Solita musica a palla, birra in bottiglia, odore di erba, risate, foto, la mia maglietta nera con una provocante Louise Veronica Ciccone e la scritta Like A Virgin, un flip provato a cazzo, intontito da birra e fumo, il mento che raschia il cemento.

Pronto Soccorso. Il dottore, che somigliava a Sberla dell'A-Team, che mi prendeva per il culo. Ricucito come una salamella, ma Sberla fece un buon lavoro perché col tempo quei tre punti di sutura sono sbiaditi.

Le cose più importanti sono le più difficili da dire, perché le parole le immiseriscono. È difficile che un estraneo provi qualcosa per le cose belle della tua vita. Stephen King ha ragione. Ma questo cazzo di skateboard ha aperto un varco nei ricordi. So che a molti non gliene fregherà un emerito di quanto ho scritto, ma penso anche che sia compito di ognuno di noi utilizzare in qualche modo il passato, i ricordi che non abbiamo mai immortalato nelle fotografie, per illuminare il presente che viviamo ogni giorno; e fissare qualcosa per il futuro. Non sappiamo che cosa, ma l'adolescenza ha avuto e ha un significato preciso per molti di noi. La stessa adolescenza è un intero rito di passaggio. Dentro gli occhi di alcuni rimane la stessa luce. Salgono dallo stomaco alla gola le stesse sensazioni di un tempo. Stringendo lo skate vorrei tanto tornare a quei tempi, ma non per fare il nostalgico, per carità, non fraintendetemi. Solo per provare quel gusto della libertà, quell'eterna primavera della speranza che vorrei non mi abbandonasse mai, Mai, MAI. Vorrei risentire quel Ta - tlak della tavola e flippare sempre e ovunque. Dove osano le aquile, per intenderci.

E se ci pensate un secondo su, capirete da soli quale desiderio ho espresso, quel pomeriggio ventoso di marzo del 1993.

Zio Robbo








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