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venerdì 22 ottobre 2010

LA PRIMA VOLTA (FA SEMPRE MALE)

Ricordate con chi avete fatto sesso la prima volta, nella vostra vita? Molti salteranno su: si dice con chi avete fatto l’amore o con chi siete andati a letto! Me ne frego, e ripeto: ricordate con chi avete fatto sesso la prima volta, nella vostra vita? La sottile differenza tra amore e sesso proprio non la comprendo. Forse perché non so definire quella brutta cosa con un bel nome che viene chiamata amore; il sesso è quello che è, e il porno è solo l’esibizione di quello che avviene tra le lenzuola.

Era il mese di marzo del 1993. Avevo sedici anni. Con i compagni di classe eravamo diretti in gita a Strasburgo e Baden Baden. Sul bus rimasi in disparte a leggere e guardare il paesaggio. Gli altri si stracciavano di alcool e canne. Mi ero portato più libri che vestiti. Riuscii a leggere La lunga marcia all’andata e L’uomo in fuga al ritorno, entrambi di Richard Bachman. I compagni di classe erano tutti con capelli lunghi, chiodo e scarpe da basket e il me stesso di allora, ragazzetto rasato a zero come uno skinhead, con anfibi e felpe a buon mercato veniva un po’ ghettizzato. Non ci badavo. Rimasi estasiato di fronte a un cielo che mi sembrava diverso da quello che vedevo ogni giorno, chiuso in una sorta di eterno ritorno quotidiano, nella provincia torinese dove abitavo da sempre.

Il trattato di Maastricht stava diventando realtà. Provai la sensazione, per la prima volta, di sentirmi europeo. Europeo. Europeo. Nonostante il razzismo di inglesi, francesi, olandesi e tedeschi nei confronti di noi italiani (Italiani? No grazie!), nonostante la consapevolezza che addirittura spagnoli e irlandesi fossero più avanti di noi anni luce, il gusto dell’ Europa colpì tutti noi, al Parlamento Europeo di Strasburgo. Razzismo a parte.

A Baden Baden andò meglio. Nell’ostello dove alloggiavamo, mentre i soliti compagni dai capelli lunghi e chiodo si stracciavano ad alcool e canne, incontrai Salma. Era in gita con le compagne di classe. Capelli lunghi e neri, carnagione scura, culo abbondante e tette grosse, era l’incarnazione dello stereotipo femminile che da sempre ha turbato i miei sogni.

Viveva a Berlino. Quando ancora c’era il Muro, aveva avuto la fortuna di abitare nella parte occidentale della città. Mi raccontò che a dodici anni era lì, insieme a migliaia di altre persone, quando il Muro era caduto. Avevo solo ricordi televisivi offuscati dell’evento. Lei lo aveva visto dal vivo. Aveva vissuto, respirato la Storia.
Parlavamo in un inglese scolastico pessimo, per capirci, e ci prendevamo in giro parlando ognuno la propria lingua.
Pendevo letteralmente dalle sue labbra. Suo padre era di origine turca; la madre tedesca di Berlino. Mi spiegò cos’era un kebab, una cosa nuova ed esotica per me ma che lì era una consuetudine, visto che il padre gestiva una catena di fast-food di kebab.


Mi basta chiudere gli occhi, oggi, a distanza di anni, per ricordare la pronuncia dura di Salma, i capelli lisci e neri da sembrare blu e, soprattutto, le tette.
Ci eravamo baciati e abbracciati sulla funivia che solcava gli alberi della foresta nera, Schwarzwald; alle Terme di Caracalla, dove eravamo andati con le rispettiva classi, a vederla in costume, con tutta quella roba in mostra e che Salma non si vergognava affatto di mostrare, avevo faticato a nascondere un’erezione spaventosa che mi tormentava; poi c’era stata l’ultima serata.


Ci univa l’ascolto degli Ugly Kid Joe. Con me avevo portato il nastro di America’s Least Wanted, lei indossava la maglia di As Ugly As They Wanna Be. Altro che amore a prima vista.
Quell’ultima sera, dopo aver passato quasi due giornate e mezzo incollati l’uno all’altra, imbracciò la chitarra di una sua compagna e attaccò a suonare e cantare Cats in the cradle, che è una cover di un certo Chapin rifatta anche da Johnny Cash, una ballata che tratta di un padre che non ha mai tempo da trascorrere con suo figlio e intanto gli anni passano e i legami si sfaldano. Eseguì il pezzo in maniera sublime, tanto bene che mi vennero le lacrime agli occhi e quando passò a Busy Bee, altra ballata dell’album America’s Least Wanted implorai tra le lacrime di smetterla, già odiavo le ballate (DALLABNIKUFESIN!) ma quella sera, cantate da lei, mi facevano stare davvero male perché ero consapevole che dal giorno dopo saremo diventati di nuovo due ragazzi stranieri e certe cose a sedici anni ti ammazzano dentro e sapevo di essermi affezionato a lei e mi sarebbe mancata tantissimo e.


Venne il sesso. Dopo le lacrime. La prima volta fu un mezzo disastro. La seconda volta andò un po’ meglio. La terza non avrei mai smesso. La cultura dei pornaletti servì a poco. Mi mancò il respiro quando vidi per la prima volta un essere umano femminile in carne e ossa e per giunta nuda. Le tette. Le gambe. Il sorriso verticale, lì, spalancato davanti a me. Cominciai a sudare tantissimo. Non sapevo dove infilarlo con precisione. Col tempo sono diventato un fan assoluto del sesso orale, starei tutto il tempo a leccare passere e farmi succhiare l’uccello, ma quella volta certi orpelli mancarono: sarebbe stato richiedere davvero troppo al collaborazionismo.


Non chiedetemi perché non ci scambiammo gli indirizzi. A quei tempi non c’erano telefoni cellulari, Internet, e-mail. Si stava (forse) meglio, e la felicità non ci veniva data dalla tecnologia, ma sapevamo costruircela. Bastava una maglietta, una canzone, i capelli lisci e neri da sembrare blu di una coetanea di Berlino conosciuta in gita scolastica.
Dopotutto, non si vive neppure una volta.





1 commento:

  1. Che storia bellissima.

    La mia Prima Volta invece è piena di stupende banalità: c'è il villaggio turistico, la spiaggia, il cielo stellato, il sangue, e persino l'amica più giovane che ti copre e al tuo rientro ti chiede "cosa si prova?" (e tu rispondi: "dopo ti senti più donna"..che ridere..).
    Ci sono state però anche delle cose meno ovvie, tipo la pazienza infinita di questo ragazzo a cui ho fatto attraversare una settimana d'inferno prima di dargliela (voglio, non voglio, non mi toccare!, toccami, mi fai male, ecc..), e le sue parole "terapeutiche" in un periodo fragile della mia adolescenza in cui rabbia e senso di ribellione mi avevano comodamente posizionata sulla strada dell'autolesionismo (avevo scritto le sue perle di saggezza in una Smemoranda dell'epoca, credo di averla ancora da qualche parte).

    E' vero, una volta i cellulari non esistevano. Meno male: mantenere i contatti sarebbe stato inutilmente lacerante, mentre lasciare che quest'esperienza appartenesse al passato ha fatto sì che rimanesse un bellissimo ricordo.

    Comunque lui si chiamava Gianluca, detto Luca. Non scrivo il cognome ma me lo ricordo ancora: troppo diffuso nella sua città per poter risalire al suo indirizzo (beh? sono pur sempre una femmina, mica potevo rassegnarmi a scordarmelo subito..due mesi dopo, a scuola, scrivevo ancora "Luca" da tutte le parti..). Aveva un anno meno di me, capelli biondi corti, occhi chiari e marcato accento catanese.

    Era il 1997 e un mese dopo festeggiavo il mio compleanno a Londra. Che estate! ^__^

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